In ITB un collega mi ha lanciato una previsione interessante: nel giro di cinque anni, negli hotel, il rapporto tra lavoratori umani e non umani sarà di 1:5. Drastico? Forse. Ma se consideriamo che Amazon oggi viaggia su un rapporto di 1:3, la cosa inizia a sembrare meno fantascientifica.
C’è però una variabile spesso sottovalutata: l’automazione completa dei lavori manuali, specialmente quelli a bassa retribuzione ma ad alta destrezza (come l’housekeeping o la manutenzione) non è esattamente dietro l’angolo. Replicare il lavoro manuale su larga scala è infinitamente più complesso (e costoso) rispetto a sostiture noi che facciamo lavori fighetti (marketing e revenue manager, sales, consulenti…) con degli AI agent.
Ma la questione più interessante è un’altra. L’idea che gli umani offrano sempre esperienze migliori rispetto alle macchine è, in larga parte, un mito. Un receptionist annoiato, un cameriere svogliato, un concierge che sembra scocciato all’idea di rispondere alle tue domande: tutto questo è peggio di un bravo agente autonomo. Se la teoria classica dell’Uncanny Valley dice che più un robot è simile a un umano, più ci mette a disagio, nel mondo dell’ospitalità potremmo assistere a un’inversione del fenomeno. Siamo abituati a interazioni umane calorose e accoglienti; quando troviamo freddezza, il disallineamento tra aspettativa e realtà diventa disturbante.
Quindi sì, il rapporto 1:5 ha senso. Ma il punto chiave non è QUANTI umani resteranno negli hotel, bensì QUALI resteranno.
Perché l’AI non sostituirà l’umanità. Sostituirà solo gli umani mediocri.
E spero di non essere tra quest’ultimi.
SIMONE PUORTO