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Il Charleston di Palermo torna in scena: dal 29 novembre la rinascita firmata Solofra e Merolli

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  • 26 Novembre 2025
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Questo articolo è stato scritto da Horeca News Italia. Clicca qui per leggere l'articolo originale

RISTORANTI – «Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono quel fiume», scriveva Borges. Alcuni luoghi sembrano vivere proprio così, attraversano le stagioni, rallentano, si nascondono, ma restano parte del flusso, percorsi che non procedono in linea retta, ma si muovono circolarmente, tornando là dove possono ripartire con nuovo slancio. 

Il Charleston è uno di quei luoghi e oggi, dopo aver segnato per decenni la cultura gastronomica palermitana, riemerge nei suoi spazi originari di piazzetta Flaccovio sotto la guida degli chef Giovanni Solofra e Roberta Merolli, coppia nella vita e nel lavoro, unita da un percorso che li ha portati a conquistare una stella Michelin al St. George di Taormina e due stelle al Tre Olivi di Paestum.

La loro visione parte da un principio semplice: non riaprire un ristorante, ma rinnovare un’identità. «Il nostro compito è stato conoscere e studiare la storia del Charleston e trasformarla in un menù del 2025», spiegano. «Negli anni Sessanta e Settanta il ristorante era rivoluzionario: portava contaminazioni internazionali e una visione modernissima della cucina. Noi abbiamo attraversato quei menù storici e li abbiamo attualizzati, rispettando l’iconicità dei piatti e interpretandoli con estetica contemporanea.»

È in questa logica che prende forma il percorso “Back to the future”, un viaggio tra memoria e presente che offre riletture come la “Turtle Soup 1969”, trasformata in una minestra elegante dal richiamo artistico; la “Gramigna Lido 1969”, tributo agli anni in cui il Charleston affacciava su Mondello; o il filetto alla lampada, ripensato con l’aroma di whisky scelti dalla collezione privata della famiglia Glorioso.

 «Il Charleston aveva menù all’avanguardia», continuano gli chef. «Abbiamo voluto riportare quello spirito in un linguaggio attuale, con attenzione alla leggerezza, al gusto e alla materia prima.» E alcuni piatti tornano perfino a essere serviti nelle porcellane storiche: «La signora Glorioso ha custodito un patrimonio incredibile. Alcuni pezzi meritavano di ritornare in tavola.»

La collaborazione tra la coppia di chef e la famiglia Glorioso–Anello nasce da un incontro spontaneo, ben prima del progetto. «La signora Glorioso venne a trovarci al St. George di Taormina e si creò un’affinità immediata. Racconta sempre dell’amore che ha avuto per la brioche di Roberta!» ricordano sorridendo. Quando la proprietà ha deciso di cercare una nuova guida per il Charleston, un amico comune ha fatto il resto: «Ci siamo innamorati subito del progetto. Abbiamo sentito una responsabilità e la necessità di restituire questa istituzione all’Italia.»

Nel nuovo corso, la sala e la mise en place hanno un ruolo narrativo decisivo: argenterie Christofle, porcellane Ginori, elementi originali del ristorante dialogano con dettagli contemporanei e contribuiscono a restituire al Charleston quella identità raffinata che lo ha sempre definito. «Trovarci tra le mani quelle argenterie e quelle porcellane ci ha fatto innamorare subito», affermano. «Hanno tracciato l’estetica del progetto. Ripartire da zero sarebbe stato più semplice, ma non sarebbe stato fedele al Charleston.»

Fondamentale anche la dimensione territoriale, che per gli chef è radice e motore creativo. «La Sicilia ci ha dato tutto: il nostro primo progetto, la nostra prima stella e nostra figlia», spiegano. «La materia prima è incredibile: agricoltura e pesca sincere, una biodiversità che è un privilegio per qualunque chef.» Da questo immaginario nasce anche un dessert fuori menù già destinato a far parlare di sé: “Ma quanto costano le banane a Palermo?”, omaggio leggero e pop a Johnny Stecchino.

Il Charleston del 2025 non mira a replicare ciò che è stato, ma a continuarlo, in un equilibrio tra memoria e contemporaneità che restituisce alla città non un luogo del passato, ma un pezzo vivo della sua identità. Un ristorante che non torna per celebrare ciò che era, torna per reinterpretare ciò che è sempre stato.

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