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Roma, neon e radicchio: dentro la nuova era del Drink Kong con Federico Daniele

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  • 20 Novembre 2025
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Questo articolo è stato scritto da Horeca News Italia. Clicca qui per leggere l'articolo originale

BAR & WINE – C’è chi sogna cocktail sulla spiaggia e chi li serve in una caverna cyberpunk nel cuore di Roma. Federico Daniele non fa parte della prima categoria. Poco più che trentenne, origini avellinesi ma sangue romano nelle vene, spirito irrequieto e mani esperte, è il bar manager del Drink Kong da appena sette mesi e già affonda le dita nella rivoluzione del bancone più chiacchierato d’Italia.

Il Drink Kong non è un bar. È una tana. Luci basse, neon che sussurrano, divanetti da interrogatorio amoroso. E Federico ci si muove dentro come se ci fosse nato: “chef liquido” con passato da cuoco, presente da allenatore di giovani samurai del cocktail, e futuro in continuo movimento.

Dal cameriere stagionale al samurai del ghiaccio

A 17 anni serviva ai tavoli nei ristoranti stagionali, quelli che d’estate ti portano il fritto misto con lo sguardo perso tra il mare e l’ansia. Poi Amsterdam, dove entra in cucina. Londra, dove il bar lo risucchia come una bottiglia di gin lasciata aperta troppo a lungo.

Il Covid lo porta in Spagna, al Punch Room e al Nobu. E poi la chiamata che ti cambia la carriera: Simone Caporale lo vuole per rilanciare lo storico Boadas. Due anni intensi, un giro del mondo con il cocktail al posto della bussola.

Alla fine, si torna a casa. Patrick Pistolesi lo chiama al Drink Kong. “Un’opportunità che non si poteva rifiutare,” dice Federico. E chi rifiuta un impero da costruire?

Drink Kong: dietro il bancone, il dojo

Un dojo, in giapponese, è il luogo dove si pratica un’arte, spesso quella marziale, ma non solo. Al Drink Kong, il dojo è dietro al bancone: lì si insegna, si sbaglia, si affina. Federico non è solo un bar manager. È psicologo, motivatore, stratega. A volte becchino di egotrip mal gestiti.

Ha rifondato il team: più giovane, più internazionale, più affilato. Alcuni sono tornati dall’estero (Paradiso, Barcellona), altri cresciuti in Italia ma con la testa già oltreconfine. Tutti parlano inglese meglio di quanto lui stesso facesse dieci anni fa.

“La brigata è tutto,” dice. “Gestire 20 persone vuol dire essere camaleontici. C’è chi cresce se lo spingi, chi se lo ascolti, chi se lo lasci sbagliare.” Federico, insieme a Lorenzo Mancusi, crea un ambiente dove formazione, viaggi e gratificazione sono le colonne portanti. Ogni trasferta è spesata, ma include anche un bonus economico nei giorni di riposo. E sì, c’è pure il “dipendente del mese”, con premio sonante. Perché non si vive di solo bitter.

Blade Runner in salsa giapponese

Entrare al Drink Kong è come infilarsi dentro un frame di Blade Runner dopo due gin tonic. Il locale ha un’estetica retro-futuristica, con luci al neon che disegnano geometrie taglienti, corridoi che si diramano come livelli di un videogioco distopico, e sedute in velluto scuro che sembrano rubate da un’astronave di lusso. È un labirinto urbano, multi-room, dove ogni stanza ha la sua identità visiva: si passa da atmosfere cyberpunk a toni più zen, in un continuo gioco di contrasti.

E poi c’è la Ginza Room, un piccolo omaggio a Tokyo: interamente in legno di ciliegio, con pareti affrescate da guerrieri giapponesi, è il cuore segreto del locale, un tributo alla filosofia orientale che guida anche la mano dietro al bancone. Perché al Drink Kong, ogni angolo racconta una storia. Anche prima che arrivi il cocktail.

Cocktail con l’anima (e il radicchio)

La sua anima da cuoco non è rimasta in cucina. “Un bartender è uno chef liquido,” dice. “Capire le cotture ti aiuta a capire le infusioni. Una melanzana può finire in un drink, se la conosci abbastanza.”

Nel suo bar si usano ingredienti impensabili (radicchio, melanzane, spezie da bazar turco), tecniche complesse e macchinari da laboratorio, e ogni scelta ha un senso. Anche la bottigliera, che viene smontata e rimontata solo in occasioni speciali, richiede 2–3 ore di lavoro per 2–3 persone. Ma lo si fa solo per partner con cui c’è rispetto reciproco e storia condivisa.

Un esempio su tutti? Il Sublime

30 ml Altamura Distilleries

45 ml strawberry cordial

5 ml Cocchi Rosa

5 ml Ancho Reyes Rojo

5 ml tomato liqueur

Un equilibrio dolce-piccante-umami da manuale, da bere con la testa leggera e il cuore aperto.

Mixology globale: tra capitali e outsider

Federico ha visto più bar in un anno che la maggior parte delle persone in una vita. E la sua mappa liquida è sorprendente.

  • Hong Kong, oggi, è il cuore pulsante dell’Asia — ha superato Singapore, anche grazie all’arrivo di Simone Caporale con il suo COA (posizione #20 nella 50 Best Bars 2024).
  • Edimburgo: sottovalutata, ma solida con realtà come Panda & Sons, Hey Palu e Bramble Bar.
  • Tirana: Nouvelle Vague è la sorpresa del momento.
  • Manchester: Schofield’s Bar (posizione 35 nella 50 Best Bars 2024) regge il confronto con i migliori al mondo.
  • Almaty, Kazakistan: dove il bar show annuale sta attirando l’attenzione della scena internazionale.

Guest, visioni e filosofia

Il futuro di Drink Kong si costruisce con esperienze coerenti e curate:

  • Nippon Bar Experience: otto maestri giapponesi si alternano ogni mese, ospiti del bancone.
  • Midnight Chef: chef stellati e bartender uniscono piatti e drink in serate tematiche.
  • Guest bartenders: non solo dai 50 Best ma scelti per visione, anima e coerenza. Tra i nomi recenti: Bar Termini, 69 Colebrooke Row.

“Patrick è visionario,” dice Federico. “Dovunque va, riceve calore. Questo amore lo restituiamo in ogni cosa che facciamo.”

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