
MEDIA & MARKETING – Negli ultimi anni un fenomeno silenzioso ma inequivocabile ha iniziato a ridisegnare la comunicazione dei brand alimentari globali: il futuro ha assunto il volto del passato.
Marchi che per decenni hanno investito in modernità, minimalismo e brillantezza digitale stanno ora ripercorrendo i propri archivi visivi recuperando forme, colori e tipografie che sembravano consegnate per sempre alla storia. Non è un esercizio nostalgico, né un capriccio estetico ma un cambio di paradigma.
Il minimalismo che doveva incarnare il progresso si è rivelato troppo freddo, troppo distante, troppo anonimo, l’ultramoderno ha perso credibilità, la sovrasaturazione visiva degli anni recenti ha generato un paradosso, ciò che è nuovo rassicura meno, ciò che sembra “di una volta” risulta immediatamente leggibile, comprensibile, vicino. In un presente liquido, per dirlo alla maniera di Bauman, e segnato da accelerazione, volatilità e ambiguità, il vintage non è un passo indietro ma un ritorno al senso.
A rendere questo movimento ancora più evidente è un tratto culturale contemporaneo, l’anemoia, la nostalgia per epoche mai vissute. È in particolare la Generazione Z, cresciuta immersa nell’istantaneità digitale, a proiettare nei decenni analogici un’idea di umanità più lenta, più ordinata, più autentica. Quegli anni non sono ricordi, ma scenari emotivi, una percezione non confinabile a una sola coorte generazionale perché se è vero che a renderla iconica e visibile sono stati i nati tra la fine del secolo scorso e il primo decennio del nuovo millennio, il meccanismo che la sostiene resta trasversale, una risposta cognitiva elementare di fronte all’incertezza. Il passato, reale o immaginato, appare come una struttura stabile, una grammatica familiare, un luogo mentale dove il presente trova una forma. L’anemoia non è un fenomeno giovanile ma una condizione del tempo.
A questa intuizione culturale si affianca una conferma scientifica cruciale. Uno studio pubblicato sul Journal of Marketing ha dimostrato che i segnali visivi vintage, in particolare la tipografia retrò, aumentano nel consumatore la percezione di sicurezza, affidabilità e qualità. Nei test sperimentali, i partecipanti giudicavano meno rischiosi i prodotti presentati con caratteri e layout “d’epoca”, anche quando il contenuto suggeriva il contrario. La cosiddetta vintage anemoia funziona come una scorciatoia percettiva: non richiede ricordi personali, perché non opera sulla memoria ma sulla familiarità. L’estetica del passato attiva immediatamente la sensazione di qualcosa di già noto, già collaudato, già rassicurante. Una risposta profondamente umana alla complessità del presente.
È in questo contesto che i grandi brand stanno ricalibrando le proprie identità.
Burger King ha ripristinato l’immagine del 1976: un lettering morbido, un’iconografia che sembra uscita da una guida di design analogica, una palette calda che rimanda all’idea di comfort, semplicità, autenticità.

Pepsi ha recuperato la forza geometrica e cromatica degli anni ’80, restituendo al marchio una presenza visiva più solida e riconoscibile.

Pizza Hut ha riportato in primo piano il suo tetto rosso, un simbolo talmente radicato nell’immaginario collettivo da funzionare come un segno quasi universale di familiarità.

Anche Kellogg’s ha scelto di far riaffiorare elementi storici del proprio packaging, consapevole che la linearità retrò comunica più fiducia dell’essenzialità neutra del decennio passato.
Questi rebranding non celebrano un’epoca perduta, attivano un principio percettivo, offrono continuità in un paesaggio culturale che cambia a ritmo accelerato, trasformano un prodotto contemporaneo in un oggetto dotato di memoria implicita, riducono la distanza tra il consumatore e la marca, e soprattutto interpretano la nostalgia non come fuga dal presente, ma come strumento per renderlo più comprensibile.
Il vintage oggi non è una parentesi estetica ma un atto di stabilizzazione, un modo per restituire profondità a un contesto che tende alla superficie, un linguaggio strategico che usa il passato come infrastruttura emotiva per guardare avanti. I brand che stanno recuperando i propri codici storici non stanno tornando indietro, stanno cercando un modo più umano di andare incontro al futuro e il paradosso è proprio questo, nel momento in cui il nuovo diventa incomprensibile è il passato, o meglio la sua immagine, a tornare a parlare la lingua della fiducia.