La parola «esperienza» è stata svuotata. È ovunque: nelle brochure, sui siti, nelle presentazioni commerciali. È diventata una scorciatoia pigra per fingere di offrire qualcosa di speciale. Ma di cosa stiamo parlando davvero? Di una colazione continentale scarna? Di un check-in un po’ più veloce?
Il termine è stato logorato, ridotto a una patina luccicante che serve a rendere più appetibile l’essenziale: un letto, una doccia, qualche asciugamano. Il Wi-Fi in camera non è un’«esperienza»: è un servizio basilare, tanto quanto l’acqua corrente. Eppure, continuiamo a presentare queste prestazioni minime come un viaggio memorabile. Suona falso.
Il vero problema è strutturale. Il nostro settore è organizzato a compartimenti stagni: prenotazioni, reception, housekeeping, ristorazione… E i sistemi non comunicano meglio delle persone. Come si fa a creare un’«esperienza» fluida e integrata se mancano i collegamenti? Non si fa. Il risultato è una serie di operazioni scollegate, non un percorso armonico.
L’«esperienza» si riduce quindi al digitale? A una prenotazione online senza intoppi o a una mail personalizzata che ti augura buon compleanno? Oppure è solo un termine che ci piace usare per illuderci di offrire qualcosa di più di una semplice camera? Ci piace romanticizzarlo, ma raramente investiamo davvero in persone, strumenti e organizzazione per trasformarlo in realtà.
Un’esperienza autentica, quella che resta impressa, nasce quando ogni dettaglio, ogni interazione, ogni gesto è perfettamente orchestrato e sembra naturale. Richiede collaborazione trasversale e intenzionale. Ma quanti hotel incentivano davvero la cooperazione tra reception e ristorante, o usano le osservazioni del personale delle pulizie per personalizzare il soggiorno? Pochissimi.
Finché tratteremo l’«esperienza» come uno slogan di marketing invece che come una priorità strategica, rimarrà una promessa vuota. L’ennesimo termine alla moda. Ma temo che, in questo caso, l’imperatore sia nudo.
La tecnologia domina la nostra vita. Ma la vera esperienza è profondamente umana. E richiede molto più di una parola ad effetto.
Mark Fancourt