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Dall’antica Mesopotamia la lezione di adattamento della vite al clima

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  • 19 Settembre 2025
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Questo articolo è stato scritto da Horeca News Italia. Clicca qui per leggere l'articolo originale

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VINI E DINTORNI – Nella terra fra Tigri ed Eufrate, la “culla della civiltà”, l’agricoltura non era solo cereali e legumi. Tra l’Età del Bronzo e quella del Ferro, due colture raffinate – la vite e l’olivo – plasmarono paesaggi, commerci e identità culturali. Un recente studio dell’Istituto di scienze archeologiche dell’Università di Tubinga, basato sull’analisi di oltre 1.500 resti carbonizzati di semi e legni, ha rivelato come gli antichi mesopotamici affrontassero siccità e cambiamenti climatici coltivando con determinazione queste piante.

Due colture, due destini

L’analisi isotopica dei reperti mostra una differenza sostanziale, l’olivo, più parsimonioso nell’uso dell’acqua, si dimostrava stabile anche in condizioni climatiche difficili, la vite, al contrario, soffriva di forti oscillazioni, con fasi di grande stress seguite da periodi di recupero. Eppure, nonostante la sua fragilità, non venne mai abbandonata.

Il vino, infatti, valeva molto più della fatica necessaria a produrlo, era un bene di prestigio, simbolo religioso e fonte di ricchezza, possedere vigneti significava status sociale e partecipare a una rete di commerci che collegava città e regioni lontane.

Strategie contro la siccità

Lo studio evidenzia come gli agricoltori dell’epoca adottassero tecniche sofisticate per affrontare il clima. In alcune zone aride, i vigneti venivano irrigati selettivamente, segno che le risorse idriche erano destinate alle colture con maggior valore economico. In altre regioni, la viticoltura dipendeva solo dalle piogge, rendendo i raccolti più incerti.

A modellare il paesaggio furono frantoi scavati nella roccia, terrazze per trattenere l’acqua e campi coltivati anche in zone marginali. Ogni intervento racconta l’impegno di comunità che trasformavano l’ambiente pur di garantire la sopravvivenza di queste colture pregiate.

La vite non era dunque solo una coltura agricola, ma un investimento sociale e culturale. Il commercio di vino e olio arricchiva intere città e alimentava legami tra popoli, mentre la proprietà di vigneti conferiva prestigio e potere. Continuare a coltivare la vite, nonostante le difficoltà climatiche, fu una scelta consapevole che contribuì alla prosperità delle civiltà mesopotamiche.

Una lezione attuale

La ricerca sottolinea un messaggio attualissimo: già tremila anni fa, l’adattamento al clima e la gestione intelligente dell’acqua erano decisive per la prosperità delle società. La scelta di investire sulla vite, coltura fragile ma di enorme valore, dimostra la capacità umana di trasformare i limiti ambientali in opportunità.

La lezione che ci arriva dall’antica Mesopotamia è chiara, l’agricoltura non è mai stata solo nutrimento, ma anche cultura, commercio e identità. E ciò che decidiamo di proteggere e coltivare, anche nelle condizioni più difficili, racconta chi siamo e quale futuro vogliamo costruire.

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