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Piacenza 'Un cocktail, ma con l'anima': alla scoperta di Iron

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  • 29 Luglio 2025
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Questo articolo è stato scritto da Horeca News Italia. Clicca qui per leggere l'articolo originale

BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL – “Mi piace lavorare a Piacenza, il mio obiettivo è fare sempre bene il mio mestiere. Ovvero offrire cocktail pensati, calibrati e gradevoli, capaci di attirare e soddisfare il pubblico, tutto qui.”

Parla così Tommaso Bruzzi, bartender e manager di Iron, cocktail bar nato nel 2019 a Piacenza. Lontano dai riflettori delle grandi città, ma con le idee molto chiare.

LA NASCITA DI IRON

Tommaso, come nasce Iron?

Iron apre poco prima del Covid, nel 2019. L’idea è di Riccardo Ferrario, il titolare, che ha creduto nel progetto fin dall’inizio. Io sono entrato da tre anni e ne gestisco la parte operativa. Abbiamo iniziato a lavorare sui classici e sviluppare una nostra idea di cocktail rivisitati.

La scena di Piacenza

Piacenza non è una città facile per la mixology. Cosa avete trovato?

Una città poco abituata alla miscelazione come cultura. Ma anche molto ricettiva, quando si propone qualità. Prima di noi, c’era stato Lan, un locale storico fondato da un barista turco, Jean. Aveva attirato un pubblico più adulto. Poi ha chiuso e si è creato un vuoto, fino all’arrivo di Iron.

L’approccio al cocktail

Cosa caratterizza il vostro modo di fare cocktail?

Partiamo dai classici, ma li adattiamo al nostro stile. Cambiamo gli equilibri, rinnoviamo con attenzione. La lista attuale verrà aggiornata presto. Inseriremo qualche drink low alcol, anche se non è il nostro core. Oggi rappresentano circa il 15% del fatturato. Sui mocktail siamo molto cauti: preferiamo usare solo frutta fresca e preparazioni fatte da noi. I prodotti zero alcol industriali non ci rappresentano.

Quindi siete un po’ controtendenza rispetto alla crescita del no/low alcol?

Sì, in parte. Ma non per snobismo. Solo perché vogliamo che anche un drink analcolico rispecchi la nostra identità.

Credits: Nicole Cavazzuti

Il mercato e le sue logiche

Parliamo dei locali inseriti nei 50 Best…?

Ne ho visitati una dozzina. Qualche bella esperienza, certo. Penso a Paradiso di Giacomo Giannotti, per esempio. Ma spesso ho trovato troppa omologazione. Cocktail simili, presentazioni uguali. Più scena che sostanza.

E dei campionati mondiali IBA cosa pensi?

Onestamente, poca rilevanza. Non facciamo parte di AIBES e quindi non potremmo nemmeno partecipare. Credo che l’IBA comunichi poco e sia scollegata dal presente. Diversamente, essere inseriti nei “50 Best” può generare ritorni economici reali, visibilità, crescita.

Il valore umano

Cosa conta davvero per te dietro il bancone?

Il lato umano. Il cliente deve poter riconoscere chi ha fatto il drink anche senza vederlo. Succede spesso: clienti abituali ci dicono “questo l’ha fatto Tommaso” o “questo è dell’altro ragazzo”, solo dal gusto. È la cosa più bella.

Restare a Piacenza

Progetti per il futuro?

Nessun grande sogno lontano. Voglio restare qui. A Piacenza. Dare un buon prodotto alla mia città. Evitare di rincorrere tendenze dettate dalle metropoli.

Collaborazioni e comunicazione

Collaborate con alcuni marchi?

Sì. Conosciamo Oscar Quagliarini e Holywater Gin, scoperti durante un evento organizzato da Spirits e Colori. Ci hanno proposto di tenere una masterclass nel nostro locale. È stato un bel momento di confronto.

Come comunicate il vostro lavoro?

Usiamo i social, ma non facciamo sponsorizzate. In una città come Piacenza, dove non c’è un turismo forte, preferiamo il passaparola. Chi ci conosce, viene. La pubblicità paga meno di un buon drink servito bene.

Per concludere

Tommaso non cerca la ribalta. E in un’epoca dove tutto sembra globale e indistinto, c’è qualcosa di straordinario in chi resta fedele alla propria città e al proprio bancone. Un cocktail può avere molte forme. Ma il sapore della coerenza, quello sì, è raro.

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