

Bill Murray e Scarlett Johansson ci hanno insegnato in un celebre film che in una traduzione ci si può perdere per sempre, rincorrendo un altrove che non si era nemmeno cercato. Ilaria Carini, invece, il suo altrove lo ha trovato proprio partendo da un vagheggiato futuro da interprete. E divenuto – dopo gli studi orientali a Ca’ Foscari – un percorso nell’ospitalità che la vede oggi dirigere le operazioni del F&D di un hotel-icona come il Rome Cavalieri A Waldorf Astoria. Un destino originale, ma in fondo coerente, quello di questa giovane manager partita da Brescia e arrivata a Roma via Venezia: è pur vero che per accogliere davvero qualcuno, così come per tradurre un testo, bisogna prima fare un’ipotesi sul mondo possibile che esso rappresenta. E poi capirlo, e abbracciarlo.
Una laureata in Studi orientali alla guida del food & beverage di uno dei templi della ricettività e della ristorazione europea. Com’è successo?
Io sono bresciana, come il mio amato Franciacorta, e dopo il liceo scientifico ho scelto di studiare a Venezia, a Ca’ Foscari, specializzandomi in lingua e cultura cinese. L’ospitalità non era affatto nei miei piani, e per me immaginavo piuttosto una carriera da interprete, o comunque nel settore delle lingue. Nel cercare una prima esperienza lavorativa mentre sostenevo gli ultimi esami, però, ho scoperto che Hilton stava dando vita a un programma dedicato all’accoglienza degli ospiti cinesi e che era necessaria una persona che parlasse la lingua da inserire in reception all’Hilton Molino Stucky, struttura pilota del progetto.
Un altro modo per applicare le sue competenze linguistiche e culturali.
Sì, la mia scelta universitaria era stata molto istintiva e senza troppi calcoli, dettata dalla curiosità per l’oriente e dal desiderio di aprirmi al mondo. A posteriori, mi rendo conto che fin dall’inizio era invece molto in linea anche con la missione dell’ospitalità, che per definizione va incontro alle persone di ogni luogo. Comunque, mi sono candidata per il ruolo e sono stata scelta, dapprima per una stagione, poi a tempo indeterminato. E, nel giro di cinque anni, sono passata da receptionist a front office manager, anche grazie ai training e alla filosofia di Hilton, brand che sa valorizzare le persone e farle crescere.
Il passaggio al F&B è stato altrettanto casuale?
Il mondo della ristorazione mi attirava tantissimo per la sua dinamicità e per la sua complessità. Così, quando al Molino Stucky si è aperta la posizione di F&B manager, mi sono candidata, trascorrendo ben sette anni in questo ruolo, con grande soddisfazione. Finché, l’estate scorsa, è arrivata l’opportunità di spostarsi al Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel come F&D operation manager.
Al Cavalieri non si può dire di no.
Sono molto felice dei miei dodici anni a Venezia, che mi hanno visto cambiare diversi ruoli e che sono stati davvero dinamici. Ma sarebbe difficile per chiunque dire di no a una struttura come il Rome Cavalieri, che è un’istituzione a tantissimi livelli, per Roma e per l’ospitalità italiana ed europea.
Qual è il primo valore che il suo nuovo direttore Alessandro Cabella le ha citato, tra quelli fondativi dell’hotel?
La centralità delle persone, che poi contraddistingue l’intera Hilton. Sono partita dall’osservare e fare mie le caratteristiche degli ospiti dell’hotel e quelle dei membri dello staff, altrettanto importanti. Il Rome Cavalieri ha l’onere e l’onore di essere l’unico Waldorf Astoria in Italia, e quindi di incarnare i valori del marchio, con i suoi standard di altissimo livello.
Che cliente è quello del Waldorf Astoria?
Abbiamo ospiti molto diversi tra loro. Il nostro hotel incarna i valori della struttura capostipite di New York, e conta quindi su una clientela molto fidelizzata, che sceglie il brand prima ancora della destinazione e che vuole trovare in tutte le strutture la stessa eccellenza. Ma non mancano altri segmenti, come quelli legati agli eventi o alle istituzioni. E poi ci sono i romani, che ogni giorno ci fanno visita per i nostri servizi ristorativi e di benessere.
Un caso di scuola su come portare anche i “concittadini” in albergo, sfida che molti albergatori perdono.
Il profondo legame con ogni destinazione è un altro tratto distintivo del brand. E poi il Rome Cavalieri è un pezzo di Roma, dove in tanti hanno vissuto momenti indelebili, matrimoni, serate importanti, eventi. Con la città c’è un rapporto consolidato fatto di tradizioni – come quella del Sunday Brunch del ristorante Uliveto – e di novità, come l’oasi estiva che i romani hanno trovato nel Patio 101.
E poi c’è La Pergola. Di cosa sono fatte le sue giornate lavorative, a parte rapportarsi con Heinz Beck?
Il Rome Cavalieri, a Waldorf Astoria può vantare il privilegio di ospitare il solo e tuttora unico ristorante tre stelle Michelin della capitale. Come operation manager sovraintendo anche alla cucina, guidata dall’executive chef Nicholas Cuomo, oltre che all’operatività e all’offerta ristorativa di bar, ristoranti e banchetti. Il mio lavoro si articola sulle quattro aree di competenza dell’ospitalità, che sono l’operatività, una forte componente HR, la parte commerciale – per raggiungere gli obiettivi finanziari in sinergia col reparto – e l’analisi delle performance in termini di profittabilità e di analisi dei costi. Il mio compito è quello di garantire qualità, risultati, benessere del team ed esperienze agli ospiti, all’altezza del nome che portiamo.
Più o meno quante persone coordina in tutto?
È un numero variabile, ma che si aggira sulle trecento risorse. Necessarie, per i volumi che la struttura riesce a gestire con successo, con cene da 1.200 persone e più eventi che si svolgono in contemporanea. Anche questa è una caratteristica di questo brand e di questo hotel.
Qual è il task più sfidante?
Perseguire l’eccellenza, sempre. È sfidante ma regala risultati in grado di gratificare davvero. Non è un obiettivo che si raggiunge senza impegno, senza costruirlo ogni giorno. Serve costanza, quali che siano le tipologie di ospite, i volumi, le condizioni interne ed esterne. Per offrire eccellenza bisogna lavorare sulla propria personale eccellenza: in termini di crescita e di desiderio di misurarsi con grandi sfide.
Qual è il valore aggiunto che si sente di portare nel luogo in cui lavora?
Preferirei lasciarlo dire ad altri: al mio team, al mio direttore. Se devo citare una caratteristica che mi contraddistingue, sta nel cercare di essere una leader che trasmetta alla squadra una visione fatta di strategia ma anche di ispirazione. È importante che tutti noi sappiamo verso dove stiamo andando, e come lo stiamo facendo.
Verso dove va l’esperienza enogastronomica, in hotel e altrove?
Ci sono diversi elementi che tracciano la rotta, me ne vengono in mente tre. Il primo tema – semplice solo in apparenza – è quello legato alla sostenibilità, al wellness, al verde. Tutti temi che mettono al centro la materia prima, l’origine, il chilometro zero, la genuinità. La cucina di chef Cuomo incarna proprio questa visione: la forza della semplicità e la centralità dell’ingrediente, come nel nuovo menu dell’Uliveto, che è un po’ la nostra dichiarazione d’amore alla natura e che ha una forte impronta stagionale, incentrata sulla ricerca e la valorizzazione della materia prima.
Cosa completa la “trinità dei trend” del F&B?
Gli altri due temi centrali sono quelli del benessere psicofisico e della tecnologia. Sul primo versante, proponiamo agli ospiti una serie di esperienze immersive pensate per nutrire anche l’interiorità, ad esempio grazie all’arte, presente in hotel con una collezione degna di un museo. Come nel nostro bar Tiepolo, capace di trasportare dentro la ricchezza culturale del nostro patrimonio millenario, che si completa con la nostra offerta musicale per regalare un’esperienza unica. La tecnologia entra in relazione con il food soprattutto negli eventi, quando l’immersività passa anche da suggestioni uditive e visuali.
Cosa ama fare nel suo tempo libero?
Come sul lavoro, anche nel tempo libero sono sempre Ilaria, una mamma per la quale è vitale fare sport – nel mio caso lo yoga, da tanti anni – che ama viaggiare e che trova il suo balsamo nella musica. Ma il buon bere e il buon mangiare sono per me una passione totalizzante, e anche quando esco a cena mi piace soffermarmi su ogni dettaglio, notare il marchio e la fattura di un piatto…
C’è una cucina che apprezza più di altre?
I miei studi mi hanno portato a innamorarmi della cucina cinese e di quelle orientali in generale, ma trovo molto affascinanti anche quelle sudamericane, che stanno conoscendo un momento di grande diffusione. E poi, ovviamente, c’è la nostra cucina italiana, che resta la più apprezzata, la più celebrata, la più meravigliosa che ci sia.
Parla di quella del Rome Cavalieri?
Certo, ma non solo.
Carta di identità
Nata a Brescia e laureata in Lingue orientali alla Ca’ Foscari con una tesi sulla connessione tra cibo e letteratura cinese, Ilaria Carini intraprende il suo percorso nell’ospitalità con una posizione stagionale aperta presso l’Hilton Molino Stucky Venice nell’ambito del Huanying program. Dopo la laurea viene promossa front office assistant manager e partecipa al programma Leader at Hilton. Arriva la promozione a front office manager, diventando così il caporeparto responsabile della gestione di reception, centralino, concierge e reparto facchini. Dopo cinque anni di front office diventa food and beverage manager e mantiene la posizione per sei anni, diventando anche mamma e continuando a formarsi. Viene dunque nominata prima director of food and drinks dell’Hilton Molino Stucky Venice. Nell’estate 2024 il passaggio a Roma, nel ruolo di operations manager presso il Rome Cavalieri, a Waldorf Astoria Hotel.