RISTORAZIONE – Sustànza, il ristorante guidato dallo chef Marco Ambrosino, al piano superiore della Galleria Principe di Napoli, si prepara all’inverno con un menu che non solo disegna una combinazione unica di ingredienti, ma nasconde una lettura che va ben oltre la cucina in senso stretto. Carciofo, olio di noce, pigna, aceto di pasta e pul biber – peperoncino rosso turco – sono gli elementi che lo chef ha reso protagonisti della sua carta. Ingredienti che solitamente non hanno un ruolo cardine in una ricetta, e che Ambrosino ha scelto di elevare abbinandoli alle preparazioni di pecora, agnello, dentice e ostrica. La ragione di questa scelta è da ricercarsi nella memoria di queste materie prime, che raccontano storie di territori e di tradizioni, evocando mondi lontani, intrecciando geografia e cultura.
“Le scelte imposte e accettate per consuetudine, ma anche la volontà di sovvertirle, sono stati gli spunti che mi hanno guidato nella creazione dei piatti del menu” spiega lo chef Marco Ambrosino. “L’idea di andare oltre i preconcetti mi ha aperto nuove possibilità e spinto verso scoperte e sinergie fra gli ingredienti”.
IL MENU
La formula invernale di Sustànza conferma i tre menu degustazione: Piccolo cabotaggio da 5 portate a 100 €; Medio raggio da 8 portate a 130 €; Lungo corso da 10 portate a 160 €; la Piccola carta e i relativi abbinamenti vino, da 5, 8 e 10 calici.
Dopo una selezione di entrée, il percorso gastronomico viene inaugurato da Minestra di frutta e verdure, brodo metodo soleras, un manifesto della filosofia di Sustànza. Si tratta di un brodo vegetale che si rinnova costantemente con l’aggiunta di nuova materia prima, simulando il metodo Solera che caratterizza la produzione dello Sherry in Andalusia, o del Marsala siciliano. Gambi, foglie e ritagli vegetali si aggiungono ad una base esistente, arricchendo e sommandosi alle qualità organolettiche già presenti. Il risultato è un brodo che evolve, diverso dal giorno precedente, in cui la standardizzazione del processo non significa la standardizzazione del prodotto. Carciofo alla brace, tartufo nero, olive, cucunci, bitter contadino, noce moscata, racconta invece l’attenzione dello chef Ambrosino per il recupero e l’utilizzo di un vegetale a tutto tondo. Dal carciofo si ottiene un brodo, un olio con le foglie grigliate e una crema di gambi, cucunci (i frutti della pianta dei capperi) e maggiorana. Ostrica alla brace, vino di pasta, pigna, olio di lentisco riporta l’attenzione al mare e all’antica tradizione marinaresca di utilizzare le pigne per tappare le anfore imbarcate sulle navi.
Durante la traversata il vino al loro interno veniva lentamente aromatizzato dalle resine, generando un prodotto nuovo grazie al metodo di conservazione. Lo chef Ambrosino ha utilizzato questa tecnica per trasformare il suo vino di pasta, bevanda nata da un mosto a base di pasta, inoculato con delle spore di kogy, e fatto fermentare con acqua e lieviti Saccharomyces. Con il vino e qualche goccia di olio al lentisco viene irrorata l’ostrica, prima grigliata e poi glassata con un fondo vegetale al finocchio.
L’uso del quinto quarto ittico è declinato all’interno di Fish offal feast, in cui il protagonista di questa stagione è il tonnetto alletterato. Il servizio è suddiviso in quattro portate: un chawuanmushi al broccolo, teste di pesce marinate, shoyu di lenticchie e agrumi, lenticchie alla brace e un sorbetto di oliva Nocellara. In un side a forma di conchiglia vi è la seconda portata, cioè un brodo di lische cotte alla griglia, condito con vino di funghi essiccati, messi in infusione e poi addizionati di zucchero e lievito per azionare la fermentazione alcolica. Su una focaccia alle erbe è disposta la coda marinata e affumicata del tonnetto alletterato, un’emulsione di molluschi e una julienne di foglie di vite in conserva. E infine, l’ultimo elemento del piatto è la tartelletta con una crema di interiora di pesce, una spuma di mais ed erbe di scogliera.
Fra i primi, Minestra di pasta e pane macerato, cipresso, sgombro marinato, moretum di mandorle, olio di argan e aceto di pasta. Si tratta di una pasta mista condita con una salsa a base di pane raffermo grigliato e fermentato, olio dai sentori di erbe mediterranee, e fette sottili di sgombro marinato. In sala, la preparazione del moretum, una ricetta originariamente a base di formaggio impastato con erbe aromatiche risalente agli antichi romani, è stata rivisitata utilizzando cagliata di mandorle, erbe di mare e aceto di pasta. In Pesce bianco, finocchio, olio di noce e finocchio di mare, salsa di finocchio fermentato e dragoncello, con un side di zuppa di carote, lo chef Marco Ambrosino utilizza a seconda delle disponibilità quotidiane del mercato, una diversa specie ittica. Il filetto del giorno è marinato in erbe aromatiche, e cotto velocemente sulla pelle e sui carboni, prima di essere servito con un’insalata di finocchi macerati condita con olio di noce, ingrediente che aggiunge sentori di salamoia. Lo zabaione al finocchio di mare completa il piatto donando una nota balsamica e marina. A parte, una zuppa di carote, servite in crema dopo un passaggio alla griglia, ma anche a rondelle cotte brevemente a vapore, e in succo, sotto forma di riduzione.
Il primo dei dessert realizzati da pastry chef Federico Andreini è Sa scova santa, richiamo alla scova dorata, ovvero il termine dialettale sardo per indicare l’elicriso. La valenza simbolica della pianta viene richiamata in sala, dove un ramo viene bruciato per rievocarne il suo utilizzo durante i rituali. Il dessert è a base di elicriso e accompagnato da una spuma di leben – latte fermentato del Nordafrica -, battuto di cacomela e peschiole, maggiorana, cenere di agrumi e una ferrattella abruzzese.
“Il concetto di mare clausum – mare chiuso – è stata un’ulteriore fonte di ispirazione nella creazione dei dessert. Nel 1600 c’erano lunghi periodi in cui la navigazione era interdetta e le navi restavano bloccate in porti lontani”, aggiunge il pastry chef Federico Andreini. “I prodotti alimentari trasportati dalle imbarcazioni iniziavano così a scendere dalle navi, e a mescolarsi con quelli delle città costiere, generando contaminazioni e trasformazioni culturali profonde.“
Mare clausum è il piatto che conclude il percorso gastronomico. Un raviolo farcito di erbe di costiera e marzapane, preparazione a base di mandorle che dal Nordafrica ha contaminato prima la gastronomia delle città costiere siciliane dove le navi attraccavano, per poi espandersi attraverso il resto del continente. Completano il dessert un brodo di alghe, olio di pino, agresto e baharat, e granita di amaro mediterraneo.
La cucina di Marco Ambrosino e del pastry chef Federico Andreini continua il suo viaggio oltre il piatto, oltre la ricetta, ricercando risposte nel Mediterraneo e nelle storie di chi l’ha da sempre abitato. Una cucina che si specchia sempre più nella sfera antropologica del comportamento umano.
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