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Gli effetti della viticoltura rigenerativa sui profili aromatici del vino rilevati da uno studio

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  • 6 Settembre 2024
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Questo articolo è stato scritto da Horeca News Italia. Clicca qui per leggere l'articolo originale

VINI E DINTORNI – Dal mondo della ricerca arrivano le prime evidenze sugli effetti della viticoltura rigenerativa che si sta sempre più diffondendo nel mondo da un lato per recuperare e rivitalizzare i terreni impoveriti, dall’altro per contribuire alla lotta contro gli effetti del cambiamento climatico, in particolare il surriscaldamento globale. 

Lo studio, condotto dalla Stellenbosch University in collaborazione con l’azienda vitivinicola sudafricana Hartenberg Family Vineyards aprirebbe una finestra sulle potenzialità della viticoltura rigenerativa che utilizza il pascolo ad alta densità con animali ruminanti. 

In particolare dall’analisi dei dati risulterebbe che l’impiego di queste pratiche migliorerebbe dal un lato la salute del suolo ma soprattutto influirebbe sulla qualità del vino andando ad incidere sul suo sapore, sull’aroma e la composizione chimica.

L’azienda coinvolta nel protocollo di ricerca ha introdotto per la prima volta i bovini nella proprietà nel 2017 scoprendo sin da subito come questi ruminanti abbiano un impatto significativo sulla salute del suolo. La loro presenza è stata infatti foriera di grandi cambiamenti facendo registrare negli ultimi 7 anni una notevole crescita in termini di biodiversità, con l’arrivo di nuova fauna e nuova flora tra cui nove specie di funghi e di erba, evoluzioni osservabili anche in superficie a differenza di quelli un po’ più sviluppatisi in profondità, rispetto ai quali si è deciso di iniziare a prelevare dei campioni da analizzare in laboratorio per comprendere cosa stesse accadendo. 

I test hanno dimostrato che a pochi mesi dall’introduzione dei ruminanti è cresciuto il numero di “nematodi”, microscopici vermi tondi che si nutrono delle radici delle piante e rappresentano dei bioindicatori della salute del suolo. In particolare sarebbero cresciuti anche le diverse specie, migliorando il rapporto tra nematodi nocivi e non nocivi a favore dei primi. 

Contemporaneamente, osservata la trasformazione dei suoli, ci si è chiesti come questo cambiamento avrebbe potuto incidere sulle uve provenienti dai vigneti in cui pascolavano i bovini rispetto a quelli dove la pratica non era stata attuata, motivo per il quale nel 2022 una parcella è stata sezionata in due parti, una destinata ad un pascolo controllato ad alta densità, l’altra senza pascolo, processo che è stato replicato nel 2023. 

Osservando le differenze tra le due parti è emerso che dove insisteva il pascolo il numero dei grappoli per vite era ridimensionato e anche gli acini erano più piccoli con una produzione per ettaro marginalmente inferiore ma con una maggiore concentrazione del frutto e la maturazione fisiologica veniva raggiunta a livelli di zuccheri più bassi. 

Lavorando le diverse uve in cantina seguendo un identico processo di vinificazione sono poi emerse delle differenze. Certo la serie storica dei dati è ancora esigua ma le impressioni raccolte sembrano puntare in una direzione chiara: il vino proveniente dalla porzione pascolata del vigneto sarebbe più elegante, fresco e caratterizzato da sentori di frutti rossi, l’altro sarebbe invece più corposo e strutturato e con sentori di frutti di bosco più scuri.

Le prime evidenze di questa ricerca suggerirebbero quindi che investire sul miglioramento dello stato di salute dei suoli rappresenterebbe una opportunità non solo per far fronte agli effetti del cambiamento climatico e dell’impoverimento delle risorse naturali ma anche un ulteriore strumento per differenziare le produzioni. Un aspetto ancora da esplorare e sostanziare con ulteriori serie storiche di dati e analisi di laboratorio ma che apre senz’altro un fronte di studio importante a supporto del comparto vitivinicolo e della lotta che si prepara a sostenere rispetto al climate change. 

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