
L’Assemblea legislativa dell‘Emilia-Romagna ha approvato una nuova legge che interviene sugli immobili destinati alla locazione turistica, dando ai Comuni la possibilità di mitigare l’impatto degli affitti brevi su residenzialità, vivibilità dei quartieri e mercato degli alloggi, pur tutelando la vocazione turistica dei territori. In particolare, viene introdotta una destinazione d’uso specifica per la locazione breve e consente ai Comuni di regolamentarla con strumenti urbanistici (zone, condizioni e percentuali massime), e la possibilità di imporre limiti sul numero di attività, requisiti minimi, contributi e oneri modulabili, oltre ad un sistema di registrazione, controlli e sanzioni.
Via libera alle leggi regionali sugli affitti brevi
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha confermato la validità della legge della Regione Toscana in materia di affitti brevi, respingendo il ricorso del Governo contro alcune specifiche disposizioni, è diventato più chiaro che Regioni e Comuni possono intervenire con regole territoriali per gestire gli effetti dell’overtourism e della pressione abitativa nei centri più esposti. In questo quadro, l’Emilia-Romagna è la seconda regione che sceglie di muoversi con una norma dedicata, puntando su strumenti urbanistici e amministrativi che danno ai Comuni la possibilità di definire aree, condizioni e limiti per la locazione breve, inclusi requisiti più stringenti per gli immobili destinati all’ospitalità turistica diffusa.
Anche altre Regioni potrebbero a breve seguire l’esempio di Toscana e Emilia-Romagna, formulando leggi regionali che hanno le stesse finalità.
Nasce la destinazione d’uso urbanistica per la locazione breve
Il passaggio centrale della nuova legge dell’Emilia-Romagna è l’introduzione di una specifica destinazione d’uso urbanistica chiamata “locazione breve”, collocata nella categoria turistico-ricettiva. Come risultato pratico, il mutamento d’uso di un’unità immobiliare verso la locazione breve (anche senza opere) diventa rilevante sotto il profilo urbanistico-edilizio e richiede i relativi titoli e adempimenti.
Come vedremo nel prossimo paragrafo, i Comuni potranno porre in essere diversi limiti alla proliferazione degli immobili con questa destinazione d’uso.
Cosa possono fare i Comuni: zone, condizioni e tetti percentuali
La legge appena approvata abilita i Comuni ad intervenire tramite strumenti urbanistici (PUG o varianti semplificate) sulla materia degli affitti turistici. In concreto, il Comune può individuare ambiti del territorio dove la locazione breve è ammessa solo a certe condizioni.
Tra le condizioni che i Comuni possono introdurre, con margini di intervento immediatamente utilizzabili, troviamo le seguenti:
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Definire una percentuale massima di unità residenziali destinabili a locazione breve in un determinato ambito. Nei centri storici con sovraffollamento turistico, è possibile fissare anche percentuali massime a livello di edificio prevalentemente residenziale.
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Limitare o vietare interventi edilizi – quali frazionamenti, demolizioni, ricostruzioni, recuperi, trasformazioni di superfici – quando accompagnano il passaggio a locazione breve. Se un’unità con destinazione residenziale avvia de lavori, nei successivi tre anni dalla fine dei lavori non sarà possibile convertirla alla locazione breve con il solo cambio d’uso “senza opere” (cioè con una pratica amministrativa semplificata): l’eventuale passaggio dovrà seguire l’iter edilizio ordinario previsto dal Comune.
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I Comuni possono imporre requisiti più severi rispetto ai minimi regionali, ad esempio chiedendo alloggi con caratteristiche dimensionali e qualitative superiori (metri quadrati minimi, distribuzione degli spazi, dotazioni e standard abitativi).
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Subordinare il mutamento d’uso a dotazioni territoriali/pertinenziali per compensare un eventuale maggior carico urbanistico. In altre parole, il Comune può consentire il passaggio alla locazione breve solo se vengono garantite alcune dotazioni aggiuntive (ad esempio parcheggi, spazi o servizi di supporto) per compensare l’aumento di carico sul quartiere dovuto a un uso più intenso dell’immobile (maggiore flusso di persone, più bisogno di servizi e infrastrutture).
Leva economica: contributo di costruzione e modulazione fino al 30%
La legge introduce anche un meccanismo economico: attraverso gli oneri comunali (i contributi da versare quando si cambia destinazione d’uso) può rendere la locazione breve più o meno conveniente, aumentando o riducendo i costi in base alle scelte del Comune. In particolare:
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il mutamento verso locazione breve comporta il versamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione della nuova destinazione e quelli della destinazione in atto;
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il Comune può deliberare misure per disincentivare o incentivare l’insediamento: ad esempio modulando gli oneri fino a un massimo del 30% in aumento o in diminuzione, oppure intervenendo su riduzioni/esenzioni previste da altre norme regionali richiamate.
Titoli edilizi e sportelli per cambiare la destinazione d’uso
Il passaggio alla destinazione d’uso – da residenziale a locazione breve – sarà quindi necessaria per chi gestisce affitti brevi nel proprio immobile. Sul piano procedurale, ci sono diversi adempimenti a seconda del mutamento d’uso “con opere” o “senza opere”:
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se il mutamento d’uso è con opere, serve il titolo previsto per l’intervento edilizio connesso;
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se il mutamento d’uso è senza opere, è soggetto a SCIA;
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il passaggio da residenziale a locazione breve passa dallo Sportello Unico per l’Edilizia (SUE), ma se l’attività è svolta in forma imprenditoriale bisognerà rivolgersi al SUAP (Sportello Unico per le Attività Produttive).
Regime transitorio: tre anni per adeguare gli immobili già attivi
Il testo prevede una fase di passaggio per non bloccare da un giorno all’altro chi sta già operando in modo regolare. In pratica, gli immobili che, quando la legge entra in vigore, sono già destinati legittimamente alla locazione breve non devono adeguarsi immediatamente a tutti i requisiti minimi: viene concesso un termine di 3 anni per mettersi in regola (ad esempio completando eventuali adeguamenti richiesti su requisiti e conformità).
C’è poi un adempimento specifico: nei Comuni che scelgono di introdurre questa disciplina, chi fa locazione breve deve comunicare la propria situazione entro 12 mesi dall’entrata in vigore delle nuove regole comunali, usando una dichiarazione sostitutiva e una modulistica semplificata (in sostanza: una comunicazione formale con autocertificazione dei dati richiesti).
Requisiti minimi: dimensioni, conformità edilizia e sicurezza
Nel testo regionale si chiarisce che, per avviare una locazione breve, l’unità deve essere in regola dal punto di vista urbanistico-edilizio (stato legittimo) e deve possedere i requisiti normalmente richiesti a un’abitazione sotto il profilo di sicurezza, igiene e salubrità, oltre a risparmio energetico, conformità degli impianti e rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale indicati nella modulistica edilizia unificata (corrisponde a ciò che, nelle pratiche edilizie, si deve dichiarare/attestare su impianti, prestazioni energetiche e predisposizioni digitali quando dovute).
Quanto ai parametri dimensionali minimi, la legge rinvia espressamente al DM 5 luglio 1975, quindi si fa riferimento alle seguenti misure: altezza interna minima 2,70 m per i locali abitabili (riducibile a 2,55 m nei Comuni montani sopra i 1.000 m s.l.m. e 2,40 m per corridoi/disimpegni, bagni, ripostigli), camera singola almeno 9 m², camera doppia almeno 14 m², soggiorno almeno 14 m² e, per i monolocali, almeno 28 m² per 1 persona e 38 m² per 2 persone (oltre a requisiti come finestre apribili nei principali locali).
Da notare che questi non sono requisiti diversi da un normale uso residenziale: sono in larga parte gli stessi standard che rendono un immobile abitabile e legittimo. La differenza pratica è che, con la locazione breve, la Regione li rende condizione esplicita per poter avviare l’attività e prevede che vengano attestati nella pratica edilizia. Resta il divieto di usare per affitti brevi locali accessori o di servizio (ad esempio, cantine e soffitte non abitabili).
Inoltre, il Comune può aggiungere standard ulteriori a livello di qualità e dimensioni, applicando parametri più restrittivi dei minimi regionali sulle superfici minime, sulla distribuzione degli spazi e sulle dotazioni dell’alloggio.
Una partita ancora aperta
Il dibattito sugli affitti brevi resta aperto ed è uno di quei temi capaci di polarizzare le opinioni. Da un lato, molti amministratori locali e residenti considerano necessario porre limiti per ridurre la pressione abitativa, tutelare la residenzialità stabile e contenere gli effetti dell’overtourism (in modo particolare nei centri storici e nelle località turistiche molto note). Dall’altro, diversi operatori e proprietari sostengono che la locazione breve rappresenti una valvola di flessibilità del mercato immobiliare e che i suoi effetti sul costo delle case e sulla saturazione turistica siano spesso sovrastimati.
La sfida, per le Regioni e i Comuni, sarà quindi trovare un equilibrio tra diritto alla casa, libertà d’impresa e sostenibilità del turismo, evitando sia l’immobilismo normativo sia interventi che rischiano di penalizzare il settore dell’accoglienza diffusa.
