
Con la sentenza n. 186, la Corte Costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sollevate dal Governo contro alcune disposizioni della legge della Regione Toscana n. 61/2024 (Testo unico del turismo). La decisione è rilevante anche oltre il caso toscano, perché ribadisce che Regioni e Comuni possono intervenire con regole territoriali per gestire gli effetti della pressione turistica, soprattutto quando l’attività si riflette sull’assetto urbano e sul governo del territorio.
Anche l’Emilia-Romagna ha approvato il 17 dicembre una legge simile, che consente ai comuni di fissare limiti agli affitti brevi, a pochi giorni di distanza dalla sentenza che dà il via libera all’analoga iniziativa della Regione Toscana. Altre regioni potrebbero seguire questa strada.
Locazioni turistiche brevi: regolamento comunale, zone e autorizzazione
🟦 In breve (regole comunali sulle locazioni brevi)
I Comuni possono definire restrizioni, zone e regole per le locazioni turistiche brevi, al fine di ridurre l’impatto su residenti, servizi pubblici e mercato immobiliare. In alcune aree, si può arrivare anche a un sistema di autorizzazione.
Un passaggio centrale riguarda l’art. 59 della Legge Toscana sulle locazioni turistiche brevi. In base alla disposizione, i Comuni ad alta densità turistica e i capoluoghi di provincia possono adottare un regolamento per individuare aree specifiche e definire criteri e limiti per l’attività di locazione breve (anche se svolta in forma imprenditoriale). Nei Comuni che adottano quel regolamento, l’esercizio dell’attività nelle aree interessate può essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione, con durata quinquennale, per ogni unità immobiliare.
La Corte ha escluso che l’art. 59 del regolamento invada la materia dell’ordinamento civile, qualificandolo come disciplina amministrativa che riguarda in modo prevalente governo del territorio e turismo, anche perché introduce un potere regolatorio comunale e un possibile regime autorizzatorio che rientra nelle competenze delle amministrazioni locali.
🟦 In breve (possibilità di gestione del territorio)
Eventuali regolamenti comunali o regionali non sono da considerarsi in conflitto con le norme che riguardano i rapporti tra privati: eventuali limiti e obblighi (come ad esempio quello di richiedere una specifica autorizzazione) sono visti come misure amministrative che servono a governare il territorio e il turismo, dando ai Comuni strumenti per regolarsi.
Strutture extra-alberghiere: i punti esaminati dalla Corte Costituzionale
🟦 In breve (case usate di fatto come strutture ricettive)
Se un alloggio viene gestito in modo stabile e organizzato come struttura extra-alberghiera, la Regione può chiedere che l’immobile abbia una destinazione d’uso compatibile (turistico-ricettiva), e non semplicemente residenziale.
La Corte ha esaminato le disposizioni sulle strutture extra-alberghiere “con caratteristiche della civile abitazione” e ha respinto le questioni relative all’art. 41, comma 3, che consente l’attività solo in unità immobiliari che, ai fini urbanistici, abbiano destinazione d’uso turistico-ricettiva, con esclusione di quelle aventi destinazione residenziale. Secondo la Corte, se un immobile è utilizzato in modo stabile ed organizzato come struttura ricettiva extra-alberghiera, la previsione della destinazione turistico-ricettiva non può essere considerata irragionevole.
È stata ritenuta infondata anche la questione relativa alla norma transitoria che rinvia l’applicazione delle disposizioni dell’art. 41, comma 3. Le disposizioni, quindi si applicano a far data dal 1° luglio 2026, con la possibilità di mantenere la destinazione residenziale fino a questa data.
Infine, per questa tipologia di strutture, la sentenza richiama gli artt. 42-45, che prevedono la gestione in forma imprenditoriale. Anche su questo punto sono state respinte le richieste del Governo (che richiamava una possibile violazione dell art. 117, secondo comma, lettera l, e all’art. 42 della Costituzione), precisando che l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale è una condizione legata alle modalità di esercizio della struttura classificata. Le norme che stabiliscono questo obbligo, infatti, vengono indicate come “estranee all’ordinamento civile” e “riconducibili alla materia del turismo”, spettante alla piena competenza regionale come previsto dalla Costituzione.
Affittacamere, B&B e residenze d’epoca: limite complessivo nello stesso edificio
🟦 In breve (stop all’aggiramento dei limiti)
Se lo stesso soggetto svolge attività di affittacamere, B&B o residenza d’epoca in più strutture nello stesso edificio, la capienza complessiva non può superare il numero di camere e la capacità ricettiva previsti per una singola struttura.
Tra le disposizioni esaminate c’è l’art. 41, comma 4 della legge Toscana. La norma riguarda i casi in cui lo stesso soggetto gestisce, all’interno del medesimo edificio, più attività (affittacamere, bed and breakfast o residenza d’epoca). In questa situazione, la regola è che non si può suddividere la capienza tra più strutture (che permetterebbe di aggirare eventuali limiti di camere e posti letto che una singola struttura può avere). Complessivamente l’attività “non può comunque superare il numero di camere e la capacità ricettiva di una singola struttura”.
Nella sentenza, la Corte respinge la contestazione e richiama il fatto che alcune tipologie di attività hanno una dimensione “familiare”, con limiti dimensionali connaturati, e che rientra nella discrezionalità del legislatore regionale stabilire misure utili a evitare possibili elusioni dei limiti previsti.
Quindi, una persona che gestisce più appartamenti nello stesso edificio, non può suddividere la capienza complessiva “spezzettandola” in più strutture: ai fini dei limiti imposti dagli enti territoriali, conta come un’unica struttura, con un tetto massimo di camere e posti letto che non può essere superato.
Strutture alberghiere: unità residenziali associate entro 200 metri e soglia modulabile
🟦 In breve (aumento della capacità ricettive)
Viene chiarito quando una struttura ricettiva può aumentare i posti letto gestendo anche appartamenti o immobili vicini. La regola base è: entro 200 metri e fino al 40% in più, ma il Comune può decidere un limite più basso.
Uno dei punti esaminati dalla Corte Costituzionale riguarda l’art. 22, comma 6 della Legge Toscana. Su questa disposizione, la Corte ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dal Governo con riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione. L’articolo in questione, consente agli alberghi di aumentare la capacità ricettiva associando nella gestione unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità, situate entro 200 metri, fino a un massimo del 40%. La stessa norma attribuisce però ai Comuni la facoltà di fissare una soglia più bassa, stabilendo una percentuale inferiore.
Il quadro che emerge
In sintesi, dalla sentenza emerge un principio di fondo: quando le regole sulle attività ricettive e sulle locazioni brevi incidono sull’assetto del territorio, la Regione può intervenire con una disciplina di settore e può attribuire ai Comuni un ruolo regolatorio, anche prevedendo criteri, limiti e un meccanismo di autorizzazioni. Nel caso esaminato, la Corte conferma inoltre la possibilità di modulare le scelte in base alle esigenze locali e in funzione degli obiettivi dichiarati dalla legge, tra cui il contenimento degli effetti negativi dell’overtourism.
Dopo questa sentenza è possibile che, nelle destinazioni più esposte ai picchi turistici, si possano valutare interventi normativi simili a quello toscano e che più Comuni si orientino verso regolamenti locali sulle locazioni brevi. Il motivo è che la Corte, nel caso esaminato, ha chiarito che alcuni profili specifici – come la possibilità di individuare zone con restrizioni e limitare le locazioni turistiche – possono essere letti come misure amministrative legate al governo del territorio e al turismo, quindi rientranti nell’ambito di competenza degli enti territoriali.
Alcuni Comuni potrebbero quindi muoversi con minori dubbi sul rischio che tali misure vengano considerate, in via generale, fuori competenza, rendendo possibili interventi contenitivi sull’overtourism che includono anche provvedimenti sugli affitti brevi.
La spinta di molti Comuni italiani potrebbe essere intensificata anche da fattori sociali, che abbiamo visto sono in grado di influenzare sindaci e amministratori, come le difficoltà di accesso alla casa per i residenti, le tensioni nei quartieri più esposti alla turistificazione, l’aumento delle segnalazioni legate a rumore e convivenza, oltre alla pressione sui servizi locali nei periodi di massima affluenza. A questi elementi si aggiunge spesso la richiesta – proveniente sia da cittadini sia da operatori economici – di regole più chiare e controlli più efficaci, con l’obiettivo di rendere l’offerta turistica più gestibile e prevedibile, senza lasciare che la crescita avvenga in modo disordinato nelle aree più delicate.
Contesto e posizioni nel dibattito sugli affitti brevi e overtourism
Negli ultimi anni, in diverse destinazioni con forti picchi di domanda turistica, il tema delle locazioni brevi è entrato nel dibattito politico-amministrativo come uno degli strumenti con cui provare a governare l’impatto dei flussi sul tessuto urbano. Come abbiamo visto, in Toscana, la L.R. 61/2024 (Testo unico del turismo) prevede all’art. 59 che i Comuni ad alta densità turistica e i Comuni capoluogo di provincia possano adottare un regolamento per individuare “zone o aree” e definire “criteri e limiti specifici” per l’attività di locazione breve. Su questa base, il Comune di Firenze ha approvato un proprio regolamento che richiama la stessa impostazione, riferendosi alle locazioni brevi per finalità turistiche e prevedendo criteri e limiti nel perimetro di applicazione individuato dal testo.
Dal lato delle istituzioni locali, ANCI ha letto la pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge toscana come un riconoscimento del potere regolatorio dei Comuni, chiedendo al contempo regole chiare e una cornice unitaria. Nel dibattito rientrano anche misure comunali adottate in altre città con pressioni simili, seppure su aspetti diversi: ad esempio, Milano ha annunciato il divieto delle keybox per il self check-in nelle locazioni brevi in spazi pubblici, motivandolo con esigenze di decoro e sicurezza e collocandolo nel più ampio contesto delle politiche di gestione dei flussi e dell’impatto sul territorio, così come avvenuto in precedenza anche a Firenze.
Quanto alle posizioni dei soggetti economici, le associazioni dell’hotellerie e parte del comparto ricettivo tradizionale insistono da tempo sulla necessità di regole e controlli più omogenei, e hanno criticato alcune comunicazioni di Airbnb sul tema overtourism. Airbnb, dal canto suo, in comunicazioni e report pubblici ha sostenuto che, nelle città più visitate dell’UE, il peso principale dei pernottamenti e della crescita dei flussi sia riconducibile soprattutto agli hotel e alle strutture convenzionali, invitando le amministrazioni a considerare l’impatto complessivo delle diverse componenti dell’offerta (in altre parole, l’overtourism non sarebbe causato dal fenomeno degli affitti brevi, almeno non in modo determinante).
Sul fronte dei proprietari e dei gestori professionali, associazioni di settore come AIGAB hanno spesso contestato misure ritenute penalizzanti per i piccoli proprietari e, in ambito nazionale, hanno espresso posizioni favorevoli al mantenimento di alcuni regimi fiscali sulle locazioni brevi, sostenendo che un inasprimento avrebbe colpito soprattutto i ceti medi e rischiato di produrre effetti indesiderati. Nello stesso dibattito, altri operatori del turismo (in modo particolare gli albergatori) hanno espresso letture opposte, attribuendo un ruolo più rilevante alle locazioni brevi nel generare tensioni con i residenti e nel mercato abitativo.
