
Addiopizzo Travel.
Ciao, sono Emilio De Risi e questa è 21 Grammi di Turismo.
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Mi sono chiesto se il turismo è solo spensieratezza e la meraviglia di guardare un monumento o se si può narrare anche la realtà più ruvida. Si può raccontare la mafia ai turisti?
Scegli un posto comodo per leggere, è un numero più lungo del solito, è una storia che parla di turismo etico antimafia.
«Il nostro mantra è che le storie dell’antimafia fanno parte della Sicilia come il mare, le chiese barocche o l’arancina». Mi dice Edoardo Zaffuto, uno dei fondatori di Addiopizzo Travel.
Il nostro primo incontro è stato online, mi sorride e subito iniziamo a darci del tu.
(D.) Addiopizzo Travel nasce dall’esperienza del movimento antimafia Addiopizzo. Come siete arrivati al turismo etico?
«Addiopizzo ha creato una rete di imprese e negozi che non pagano il pizzo e ha avviato una campagna di consumo critico. Poi abbiamo pensato: ci sono ristoranti, bed and breakfast e hotel che fanno parte del circuito, capiamo se c’è una risposta sul turismo responsabile.
Un’altra sollecitazione è venuta dall’esterno. In molti ci mandavano email o messaggi, dicendoci: quando farò un viaggio in Sicilia vorrei sapere in quali alberghi poter dormire, in quali ristoranti andare. Voglio fare una vacanza che possa sostenere il vostro circuito.
Possiamo dire che Addiopizzo Travel nasce con l’idea di applicare al settore del turismo la campagna del consumo critico, ma rivolgendoci ai viaggiatori».
(D.) E poi?
«E poi ci siamo sentiti investiti anche di questa utile responsabilità: raccontare la mafia in modo corretto, senza alimentare cliché, anzi lavorando per demolirli; far conoscere il mondo dell’antimafia, che spesso ai turisti stranieri è sconosciuto. Non di rado, non hanno l’idea che possa esistere anche un’antimafia civile».
(D.) A questo punto è nata la narrazione della mafia ai turisti?
«All’inizio era tutto interno. Io, Dario Riccobono e Francesca Vannini Parenti, gli altri due fondatori di Addiopizzo e Addiopizzo Travel, abbiamo coinvolto gli attivisti.
Siamo partiti lavorando con le scuole; piano piano ci siamo strutturati e abbiamo iniziato ad aver bisogno di figure professionalizzate nel turismo. È stato bello anche perché molti si sono avvicinati così tanto al movimento da diventare soci dell’associazione».
I CONTENUTI SONO TUTTO
Avevo letto qualcosa sul walking tour Palermo no mafia e mi chiedo quali siano gli elementi di una narrazione sociale eppure turistica. Si muove nelle vie e nelle piazze del centro storico, ma i temi trattati sono quelli sociali e dell’antimafia.
«Il Palermo no mafia è un tour in cui i contenuti sono tutto». E io non stento a crederlo. «Siamo attenti da sempre anche all’aspetto del linguaggio, infatti con le nuove collaborazioni organizziamo una sessione di storytelling nella quale cerchiamo di passare qualche tecnica: attenersi ai dati più che alle opinioni, riferirsi a fatti concreti, ma allo stesso tempo metterci del proprio, nel senso di raccontare qualche piccolo episodio che riguarda il proprio vissuto: anche quello è importante».
(D.) Qual è il ruolo della città: c’è un legame tra le storie e l’itinerario?
«Ci sono dei posti che abbiamo scelto perché permettono di raccontare un pezzetto della storia. Sono uno spunto. Per dirti, quando arriviamo alla cattedrale iniziamo a parlare di mafia e chiesa. È una visita molto densa, le tappe aiutano a mantenere una narrazione lineare. Vogliamo descrivere la Sicilia e i siciliani in modo più corretto, anche questa è diventata parte importante della mission».
Gli chiedo di farmi qualche esempio dei luoghi comuni che smitizzano e me ne dice qualcuno: che la mafia sia invincibile; la visione della mafia coppola e lupara; siciliani uguali mafiosi.
«Basta citare i film famosi sulla mafia, e il Padrino in particolare, per capire come implicitamente il messaggio che passa sia un po’ quello».
(D.) Hai parlato di italiani e stranieri: studenti esclusi, qual è il quadro delle persone che partecipano al tour?
«I tour in lingua inglese ormai sono più frequenti e con più partecipanti rispetto a quelli in italiano. Ci sono tanti nord europei e nord americani.
Prima la nicchia del turista responsabile e consapevole rappresentava il cuore della nostra clientela, adesso la platea è diventata un po’ più ampia. C’è da dire che il concetto di viaggio responsabile si è diffuso».
(D.) E così anche la vostra azione divulgativa e formativa si spalma su più persone.
«Sono d’accordissimo; guarda mi dai lo spunto per aggiungere un’altra piccola cosa: all’estremo opposto del viaggiatore responsabile, ogni tanto abbiamo anche dei viaggiatori particolarmente inconsapevoli. Ti faccio l’esempio classico: capita che arrivino persone che hanno cercato su Google mafia tour, con un’idea tutta diversa da quella che proponiamo. E qualche volta ce l’hanno anche confessato».
IL TURISMO ETICO ANTIMAFIA
(D.) Oggi c’è più interesse per questo tipo di proposta?
«Quando abbiamo iniziato, nel 2009, eravamo gli unici, non esisteva il concetto del turismo antimafia. Oggi è più diffuso. Ci sono altri tour operator, anche agenzie con le quali collaboriamo, che più o meno intensamente offrono delle esperienze simili alle nostre, soprattutto con le scuole. Questo perché la platea dei clienti è più vasta e variegata».
(D.) Ma poi arrivano anche i competitor.
«Per noi è un fatto positivo. Significa che anche i tour operator si stanno adeguando al fatto che chi viene in Sicilia vuole ascoltare certe tematiche e scoprire come vanno le cose. Poi è chiaro che c’è chi lo fa più seriamente e chi un po’ meno, ma la cosa bella è che non siamo più solo noi a offrire questo prodotto».
(D.) Un altro spunto su come dovrebbe essere una narrazione turistica?
«Oggi c’è bisogno di conoscere, di sapere, di capire. C’è voglia di una conoscenza non superficiale del territorio. Un racconto della città non canonico, che vada oltre la superficie».
CREARE UNA RETE
Mentre Edoardo mi parla di quello che fanno, mi chiedo quanto sia replicabile il loro modello. Più volte mi ha ripetuto: siamo un gruppo di persone che dal basso ha provato a dare un contributo. E creare un cambiamento può voler dire anche creare una rete.
«So che non siamo solo noi a farlo, ma una caratteristica importante del nostro stile, è la rete. Commercianti, consumatori, associazioni, imprese sociali. Invece di andare ognuno dalla sua parte si prova a unire. E chi lo fa valorizza il territorio: anziché tirare tutto al proprio mulino, si coinvolge gli altri.
Lavoriamo molto con chi potremmo considerare competitor. Quando, ad esempio, dobbiamo creare un pacchetto a tema escursioni e natura, preferiamo coinvolgere altre realtà come Palma Nana, che è specializzata su questo e lo fa bene.
E loro fanno lo stesso, se hanno bisogno di una o più giornate che riguardano l’antimafia, coinvolgono noi. Questo è un valore aggiunto non scontato».
(D.) Questo modello è replicabile su altri territori?
«Ti racconto una cosa bella. Per la prima volta abbiamo lanciato un tour fuori dalla Sicilia, a Napoli. Anche questa volta la sollecitazione è arrivata dall’esterno. Dopo tanti anni di viaggi di istruzione, anche per università straniere, ci hanno detto: quando avrete qualcosa fuori dalla Sicilia, ma con lo stesso spirito, fatecelo sapere.
Da tempo intrecciamo relazioni con associazioni a livello nazionale, e a Napoli ci siamo trovati molto bene con la Paranza cooperativa sociale, che gestisce anche le catacombe di San Gennaro del rione Sanità.
Ecco, abbiamo iniziato a disegnare un tour insieme, dove abbiamo messo la nostra esperienza e la nostra impostazione».
(D.) Quali sono questi elementi esportabili?
«Innanzitutto, la certezza che non dobbiamo dare niente per scontato. A Palermo siamo partiti con l’idea che i nostri viaggi devono essere mafia e pizzo free, ma avevamo la rete di Addiopizzo come garanzia.
Dove non c’è, si può chiedere di fare attenzione alla qualità etica dei fornitori, anche in considerazione dell’aspetto della criminalità organizzata. Questo è un elemento esportabile.
Quando ci avviciniamo a un hotel cerchiamo di fargli capire cosa ci aspettiamo, che tipo di atteggiamento deve avere.
Un’altra cosa esportabile è proprio creare una rete, così come ci siamo mossi a Palermo, lo abbiamo fatto a Napoli cercando di coinvolgere le eccellenze, le associazioni e le imprese sociali. E abbiamo provato a integrarle».
(D.) E la narrazione?
«Certo. Abbiamo esportato l’idea di parlare del territorio per quello che è, senza nascondere i lati oscuri. E poi raccontare il cambiamento. Questo è vincente. Lo è perché non devi continuare a nascondere quello che è successo, lo racconti con la sofferenza di chi vive su quel territorio, ma puoi dire anche cosa è stato fatto e chi l’ha denunciato».
(D.) Quindi non nascondere i problemi e non scordarsi del cambiamento.
«Esatto. Questo si collega anche all’importanza della rigenerazione urbana, che diventa rigenerazione sociale: iniziative che cambiano le città dal basso».
(D.) Ma in questo caso parliamo di un tour sul crimine organizzato?
«Non in modo diretto. Ad esempio la rigenerazione urbana e l’inclusione sociale sono componenti che ormai fanno parte del movimento antimafia. Se fai inclusione sociale, se lavori con i ragazzini sul territorio, se fai rigenerazione urbana, indirettamente stai facendo antimafia».
I RICORDI
Parliamo da molto. Tra due settimane andrò a Palermo per seguire alcuni dei loro tour, incontrare altri attivisti e soci di Addiopizzo Travel.
Prima di salutarci torna il tema delle storie. A un certo punto della nostra chiacchierata, Edoardo ha detto che Capaci e via D’Amelio sono il nostro 11 settembre.
Quelle storie aprono dei ricordi.
E anch’io gli ho raccontato il mio. Un non ancora sedicenne che ha trascorso quella domenica di luglio al mare con gli amici. Che rientra contento e sporco di sabbia. Che forse ha fatto il filo a una ragazza, non ricordo, ma di certo si è divertito. Entra in casa. Alla televisione c’è via D’Amelio. E quel quasi sedicenne si sente in colpa di essersi divertito.
Mi confida che al Palermo no mafia capita che i viaggiatori possano portare i loro ricordi.
A PALERMO
Sono in partenza per Palermo. Mi accoderò a una classe di un liceo al Must23, seguirò l’anteprima di un tour non ancora in catalogo e infine parteciperò al Palermo no mafia.
È mattino presto, a Milano il cielo è chiaro e l’aria tiepida. Quando stiamo per atterrare a Palermo si capisce che ci aspetta cielo grigio, e forse pioggia. Dalla fila alle mie spalle sento la voce scoraggiata di una ragazza: «il tempo era più bello a Milano». Mi volto appena, ha la testa poggiata al finestrino. La madre, con un chihuahua sulle gambe, le risponde: «Ussignur, già iniziamo con le lamentele». Lato corridoio, il padre non fiata.
A me questo cielo grigio sembra un segnale promettente, dopotutto uno degli obiettivi di questo viaggio è sfatare i luoghi comuni.
Esco dall’aeroporto, Edoardo e lì ad aspettarmi, ci salutiamo, lascio borsa e zaino nel bagagliaio e partiamo verso il Must23 di Capaci. In auto mi anticipa qualcosa, ma parliamo anche d’altro, di cose più personali.
Il Museo Stazione 23 maggio è il museo immersivo che racconta la strage di Capaci. Siamo nell’area dell’ex stazione ferroviaria e il progetto di lungo termine è anche un recupero che restituisca lo spazio alla città.
Ci sono tre container, vado verso il primo. Incontro Nico, sarà lui a condurre questa parte della visita. Entro insieme agli studenti e alla professoressa che li accompagna. Un video trasmette la storia di Falcone. A ogni capitolo, in modo asciutto eppure espressivo, Nico sottolinea fatti e punti chiave. E la classe dà l’impressione di capire l’importanza di quel momento.
Usciti, prima dell’esperienza centrale, andiamo al terzo container: una libreria Feltrinelli. Dario, l’altro accompagnatore, ci dice che è la più piccola libreria d’Italia e che ha permesso a Capaci di averne una dopo trent’anni. Dario e Nico hanno iniziato a collaborare con il servizio civile e adesso sono ancora lì. La loro non è solo capacità di accogliere e spiegare. Credono in una causa. È la prima cosa che trasmettono.
Io, la prof e la classe entriamo nel secondo container: ci aspetta la realtà immersiva.
Indosso i visori e vengo teletrasportato subito dopo l’attentato di Capaci. Mi aggiro tra fumo e macerie, e un brivido lo sento. Quando interagisco con un oggetto virtuale, parte un filmato: il fine di questo container non è entrare in un videogame, ma informare coinvolgendo. E ci riesce.
C’è un piccolo meeting finale e la visita si conclude. Mentre torniamo verso l’auto Edoardo mi dice che con le scuole questi momenti formativi spesso sono di trasformazione. Gira la chiave e andiamo.
L’ufficio di Addiopizzo Travel è a Isola delle Femmine, nella vecchia casa del capostazione. Questo dettaglio già basta a riempirlo di poesia. Lì conosco le altre colleghe, come Francesca Vannini Parenti, la presidente, e Chiara Utro, socia di lungo corso e responsabile della sezione viaggi e vacanze. Ci diamo appuntamento per il giorno dopo nella sede di Addiopizzo a Palermo.
Saranno loro ad accompagnarmi nel nuovo tour che stanno disegnando.
CAMMINANDO
Ogni città turistica è infelice a modo suo. Sì, sto reinterpretando un incipit famoso, ma certe volte penso sia vero.
Cammino lungo via Maqueda e guardo il susseguirsi di ristoranti con i buttadentro che corteggiano i passanti. Su un lato della strada il carretto a cavallo aspetta i turisti, sull’altro c’è la sua alternativa a motore: l’Ape cabinato. Proseguo e arrivo ai Quattro Canti, dove una giovane artista di strada prova a rubare la scena alla piazza.
UN TOUR IN ANTEPRIMA
La sede di Addiopizzo è un bene confiscato alla mafia, era usato come deposito per le sigarette di contrabbando. Francesca è già lì, ci salutiamo, gironzoliamo per gli uffici, poi mi mostra una mappa della città appesa alla parete. Linee colorate disegnano i mandamenti mafiosi che la suddividono.
Ci raggiunge Chiara, poi arriva Noemi, anche lei una collaboratrice rimasta dopo il servizio civile.
Partiamo. È un tour diverso, è il tema sociale a dominare. È una storia più intima, quella del quartiere Kalsa. C’è il racconto delle persone che lì vivono, si parla degli aspetti duri e della rinascita.
Ogni tanto distraggo le mie guide, condivido la sensazione che ho avuto su via Maqueda. Mi fanno notare che anche Palermo è nel momento in cui deve riflettere su temi come la gentrificazione e l’overtourism. Torno ad ascoltarle. Il bello di questo tour sarà anche l’incontro con gli artigiani dell’associazione Alab che stanno facendo un lavoro dal basso per valorizzare dei mestieri e presidiare il territorio.
Sono certo che una volta in catalogo sarà efficace e coinvolgente. Sempre più persone cercano la realtà, ma spesso si trovano di fronte una versione annacquata a uso e consumo del turismo. Questo è un racconto vero, che informa e appassiona.
Il tutto è accompagnato da qualche aspetto sull’antimafia. Ho saputo che Falcone e Borsellino sono nati qui. E in un parchetto lungo il nostro percorso, andavano a giocare da bambini. È un’immagine che resta.
Torno in camera, scrivo qualche nota per fissare quello che ho visto. Il giorno dopo mi aspetta il Palermo no mafia tour. Sono curioso.
PALERMO NO MAFIA TOUR
Chloé Tucciarelli, toscana di mamma francese, ha rinunciato a due cose da quando vive a Palermo: l’accento sulla e, perché in molti la chiamano Chloe, e la parola babbo che per lei significa papà, ma qui si usa per dire sciocco. Vive a Palermo da abbastanza tempo da aver fatto suo qualche leggero raddoppio di consonante, tipico della cadenza palermitana.
Il punto d’incontro è al teatro Massimo. Saliamo le scale e ci raduniamo al coperto. Piove.
Ripercorre com’è nata Addiopizzo e ci introduce al fenomeno della mafia. Il posto non è casuale: qui hanno girato alcune scene de il Padrino parte terza. È il modo per ricordare quanto i film siano potenti a far passare dei cliché.
Da amante del cinema non riesco a rinunciare a certi film, se sono ben fatti. Ne avevo parlato anche con Edoardo e concordavamo sull’assurdità del non saper distinguere tra fiction e realtà, confondere la finzione con un ritratto storico. Il Palermo no mafia tour serve anche a creare questi anticorpi informativi, penso.
Chloé ci fa notare che quasi tutti conoscono la scena de il Padrino, ma quasi nessuno sa che nel 2000 il teatro Massimo ha ospitato il primo convegno transnazionale sul crimine organizzato.
Ognuno di noi si presenta. Nel gruppo c’è una coppia che ha già fatto tre escursioni con loro, una ragazza che ha studiato criminologia, altri che vogliono ascoltare e sapere.
Il tour si snoda nel quartiere Il Capo.
Emerge quello di cui avevamo parlato nell’intervista. Il racconto è dritto e informato. È una narratrice abile, le domande arrivano, anche quelle sfocate, risponde e riprende il filo. Nelle fasi più leggere, mentre ci muoviamo da una tappa all’altra, racconta di sé, scherza sulla sua origine forestiera e sullo smarrimento iniziale al cospetto del famigerato traffico di Palermo.
Arriviamo al muro della legalità, il murales che rende omaggio alle vittime della mafia.
Incrociamo un gruppo in inglese di Addiopizzo Travel, ma anche altre guide. Penso sia la manifestazione di quel cambiamento.
Non tutte le guide avranno lo stesso stile e lo stesso approccio, ma qualcosa si muove.
Attraversiamo il mercato rionale, dove alcune bancarelle si sono riconvertite a vendere street food, poi il tribunale e la cattedrale. Ogni tappa schiaccia il tasto play a una parte della storia. Siamo insieme da tre ore, guardo l’orologio, tra poco devo andare in aeroporto.
Quando ci salutiamo, Chloé ci ricorda che un territorio va raccontato per intero, il bello e il brutto. Quindi, anche la mafia.
È tutto per oggi, alla prossima.
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